Contributi# Come tornare a investire in cultura dopo la pandemia: verso nuovi scenari e nuove prospettive

Autore: Giuseppe Pino – Owner & Founder della “Pino Management & Partners”. Advisor specializzato in finanza straordinaria e strutturata d’impresa. Per un quadriennio (2016-2019) è stato Presidente di CONFASSOCIAZIONI SUD ITALIA e Vicepresidente nazionale di CONFASSOCIAZIONI Cultura Spettacolo Moda con delega alle Istituzioni Museali e Teatrali. Socio di AIFIRM (Associazione Italiana Financial & Industry Risk Managers) sempre dal 2016 al 2019. In precedenza, per oltre venti anni, ha ricoperto ruoli manageriali in importanti istituzioni finanziarie italiane e multinazionali. E’ laureato sia in “Scienze dell’Amministrazione” (Università di Siena) che in “Discipline dell’Arte della Musica e dello Spettacolo” (Università di Bologna) con il massimo dei voti. Ha conseguito anche un diploma in conservatorio (nel vecchio ordinamento) in giovanissima età. Da diversi anni dedica particolare attenzione anche ai “management culturali” ed ai “modelli di organizzazione economica delle imprese culturali”.

Due anni fa circa (estate 2019), i risultati di una bella e puntuale ricerca condotta da RSM-Makno su commissione di “Impresa Cultura Italia-Confcommercio”, animarono per mesi un interessante dibattito nel tessuto imprenditoriale italiano. Confermando quanto empiricamente – da anni – molti addetti ai lavori (me compreso) sostenevamo da tempo. E, parto, proprio dal “dato copertina”, quello che per diverse settimane ha poi tenuto banco sia nelle riviste specializzate, ma non solo. Ovvero: ogni euro investito in cultura genera effetti economici (di ricaduta) per oltre 2,5 euro. Per la precisione: 2,65 euro.

Ora, senza voler evocare (o smentire) echi e fantasmi di “tremontiana” memoria: chi non ricorda la frase “con la cultura non si mangia!” (che, pur nell’infelicità dell’assioma e nella “freddezza” tipica dei tributaristi e fiscalisti, una piccola verità conteneva. Nel senso che se continueremo a ragionare di cultura solo come associazionismo e non anche come “impresa culturale”, difficilmente si creeranno nel settore posti di lavoro e occupazione), il “dato cardine” della ricerca destò non poco stupore! Anche fra i più refrattari e ortodossi (sia sul versante aziende, sia in quello culturale).

Ma procediamo con ordine, perché anche gli altri “numeri” censiti nello studio, non sono da meno ed abbastanza sorprendenti. La ricerca prese avvio analizzando 14 eventi culturali (di portata nazionale ed equamente selezionati sull’intero territorio) programmati nell’anno precedente, il 2018. E così scopriamo che il 70% degli imprenditori (piccoli e medi, in prevalenza, su un campione di 200 interviste rilasciate) dichiarava strategico investire in eventi culturali. Trovandone beneficio non solo come ritorno di immagine (19%), bensì anche come reputazione aziendale (33%), correlata fornitura di servizi (21%), in chiave commerciale e promozionale (27%); in quest’ultimo caso anche superiore, come ritorno, a qualsiasi altro investimento in pubblicità. Con l’amarezza nel cuore – visti i tempi che stiamo attraversando e dove la pandemia ha falcidiato non solo vite umane, ma anche aziende e mestieri – potevamo leggere come, nel triennio 2016-2018, il 36% delle imprese intervistate avesse ripreso abitualmente ad investire in cultura e con fiducia. Dopo anni, sicuramente non meno difficili, a partire dal 2008 in avanti e caratterizzati da “crisi” finanziarie, economiche e planetarie. Potrei andare avanti ancora per molto a sciorinare i dati raccolti in questa interessantissima ricerca. Mi fermo qui, anche per ragioni di spazio e di sintesi. Ma ritengo di avere fornito uno spaccato molto puntuale della situazione ante Covid. Vogliamo dire forse in controtendenza con il sentiment che si respirava solo quattro-cinque anni fa? Secondo il mio modesto parere, di operatore professionalmente e da sempre impegnato a creare un dialogo costruttivo fra PMI e Organizzazioni Culturali, direi che è esattamente così!

Ma la domanda che in tanti addetti ai lavori ci stiamo ponendo ora è la seguente: cosa ne sarà di questo outlook positivo e rating a “tripla A” registrato nel 2019 (diremmo così, se stessimo valutando un comparto economico-finanziario-borsistico) e che sembra molto più lontano nel tempo dopo le traversie di questo anno e mezzo a seguito della pandemia? Cosa succederà realmente?

Proviamo a procedere con ordine anche in questo contesto inusuale, strano, di “tempo sospeso”. Anche se gli scenari restano ancora molto complessi per poterli decifrare e valutare in profondità. Di fatto, pur avendo il Covid allentato la morsa, siamo ancora in “tempo di pandemia”. Tutto dipenderà dai tempi complessivi di uscita definitiva dall’emergenza, con uno sguardo attento e preventivo a non farsi trovare impreparati all’affacciarsi di recrudescenze della pandemia stessa o di nuovi “scenari mondiali” di criticità che, non tanto più sottotraccia, stanno “minacciando” i tempi correnti. Penso, in particolare, ai cambiamenti dell’ecosistema ambientale, per certi aspetti già sfuggiti di mano. Ma anche a consequenziali fenomeni macroeconomici: direttamente o indirettamente collegati. “Ambiente-Economia”, sono ormai un binomio inscindibile. Ed ecco perché anche i “sistemi culturali” non possono più essere preservati ed immunizzati a queste logiche. Utopico ed allo stesso tempo molto semplicistico, pensare di voler mettere sotto una “campana di vetro” gli asset culturali.

Stavamo già vivendo e attraversando un periodo di grandi trasformazioni in atto (non solo sotto il profilo tecnologico, quanto anche di “pensiero”) e la pandemia non ha dato una definitiva spallata a “vecchie prassi e abitudini”, come qualcuno erroneamente sostiene. Piuttosto “accelerato processi” nuovi ed in divenire. Alcuni erano ancora latenti e sono diventati improvvisamente strategici. Basti solo pensare a tutta la dialettica e retorica sullo smart working e repentino cambio di tanti stili di vita. Tutto ciò nella cultura – intesa in senso lato e nell’accezione più ampia delle arti – non solo ha determinato timori, ansie, preoccupazioni, come in altri settori, quanto piuttosto smarrimento, inadeguatezza, incomprensione.

Quindi cosa potrebbe accadere? Sicuramente pensare ad imprenditori che possano riprendere a “sostenere” progetti culturali d’emblée, come ben li ha fotografati la ricerca commissionata da Confcommercio nel 2019, sarà difficile a breve.

Quindi è veramente arrivato il momento di provare a “percorrere nuove strade” anche in ambito culturale. I tempi sono velocemente maturati e dettati dalle circostanze esterne. Se ci fate caso, prima si parlava “egocentricamente” ed unicamente di problemi interni. Ora non solo. Dove l’impresa culturale può giocarsi nuove sfide! E non più restare passiva e relegata ad un ruolo di sudditanza (e non solo finanziaria) nel sistema economico-sociale del Paese, ma assurgere ad una nuova identità. I rischi tuttavia possono essere molteplici, ma altrettanto i vantaggi se visti in prospettiva. Certo: non sarà facile. La differenza, in ogni caso, la faranno sempre qualità, professionalità, capacità di proposta.

Non abbiamo una sfera di cristallo per poter predire il futuro e gli scenari culturali dei prossimi dieci anni, ma forse sì dei prossimi cinque. Che ci consentiranno, a noi del mestiere, di approntare “piani industriali” solidi e credibili. Anche se con un’azione di forecast su conto economico e principali indicatori di performance molto stringenti e da tenere ben monitorati: con una forbice trimestrale, almeno prudenzialmente. Non a caso, molti business plan e piani previsionali approntati magari solo qualche anno prima del 2020, sono stati già ampiamente rivisti proprio in questi primi sei mesi del 2021. Perché non più in linea, nella progressione, con gli effetti generati da un evento epocale che entrerà nei libri di storia.

Per certo, le linee guida qui sinteticamente tracciate, saranno una bussola capace di non farci mai perdere l’orientamento ed aiutarci a capire “dove stiamo andando”. A patto di non smarrire mai nemmeno la stella polare che ci deve sempre guidare nella ricerca di valori da trasmettere: la cultura è soprattutto questo, tutto il resto è accessorio!

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Alexandra Storari

Alexandra Storari

PROFESSIONISTA SENIOR, SI OCCUPA DAL 2000 DI FONDI EUROPEI
Fondatrice e Amministratore Unico di Euro Project Lab S.r.l.s., società di consulenza per lo sviluppo strategico, la progettazione, la gestione e rendicontazione, la formazione e la mobilità sui Fondi diretti dell’Unione Europea. La sede è in Via Pola n. 11, Milano, nel Quartiere Isola, il distretto della creatività.

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