Autrice: Paola Dubini, Professoressa di Management, Università Bocconi Milano
Pubblichiamo con piacere l’intervento di Paola Dubini, pubblicato sul Corriere della Sera, il 31 marzo 2021.
Caro direttore, la attuale versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non ha (ancora) il coraggio di considerare l’insieme degli operatori culturali come una risorsa strategica da mobilitare nella direzione di una politica culturale industriale digitale, educativa, sociale.
La strategia digitale per la cultura
La missione 1 prevede di costruire una infrastruttura digitale che coinvolge nello specifico 100 parchi naturali, 200 musei e 9.000 scuole; di rendere più accessibile l’infrastruttura fisica del patrimonio; di realizzare progetti di digitalizzazione di contenuti di musei/archivi e biblioteche; di attivare progetti specifici multistakeholder sia nelle città, sia in centri minori e nelle aree colpite dai terremoti; di promuovere la realizzazione di reti territoriali di varia natura. Il piano non si sottrae alla sfida di unire sostenibilità economica e finalità sociali. Non è tuttavia esplicitato il coinvolgimento dei settori produttivi che operano nelle industrie culturali e dei principali operatori pubblici e privati. Nello sforzo articolato di costruzione di ecosistemi per la produzione e la fruizione di cultura digitale, nulla si dice del ruolo della televisione pubblica (come produttore e distributore multicanale) e privata, dei player digitali consolidati (dalle piattaforme di streaming ai social media ai motori di ricerca) e delle nuove piattaforme digitali emergenti, degli operatori di telefonia, dei produttori di videogiochi, degli editori nelle varie filiere e delle collecting societies. Una transizione digitale che riguardi solo gli operatori pubblici («dall’alto») e il terzo settore («dal basso») non è sostenibile; e non è chiaro come gli sforzi produttivi attorno a contenuti pubblici possano tradursi in progetti economicamente sostenibili e occasioni di lavoro per professionisti della cultura.
Educazione e formazione
La missione 4 è orientata a ridurre la povertà educativa, a contrastare l’abbandono scolastico e a facilitare l’inclusione di categorie svantaggiate per età, status sociale, condizione fisica e lavorativa, migliorare la qualità dell’istruzione, integrare sistema educativo e mercati del lavoro e della ricerca. Questa serie di obiettivi ambiziosi si declina in due macro aree di intervento: rafforzamento delle competenze e rapporto con il mondo del lavoro. È difficile immaginare di contrastare l’abbandono scolastico esclusivamente attraverso servizi di tutoraggio; inoltre, alcune delle attività classiche di collaborazione fra scuola e organizzazioni culturali (pensiamo alle gite scolastiche, alle visite in biblioteca, ai laboratori didattici museali o teatrali) sono state radicalmente ripensate. È un peccato non considerare questi mercati (anche in prospettiva internazionale) come opportunità. Infine, la missione rafforza l’interazione fra sistemi di ricerca e mondo delle imprese, ma non anche fra questi e i cittadini. Ad oggi la cinghia di trasmissione fra ricerca iperspecialistica, e accesso alla cultura (sempre più frammentato per canali, per modalità e per granularità delle informazioni) è inceppata in più punti. Le organizzazioni culturali devono e possono assumersi con rinnovata energia questo ruolo di mediazione.
Inclusione e coesione
Nei tre ambiti della missione 5, gli spazi per le organizzazioni culturali sono di due tipi. Da un lato, è difficile immaginare alle persone coinvolte in un percorso di apprendimento come meri percettori di conoscenze pratiche ai fini di una riqualificazione professionale. Accanto alle competenze – e a seconda dei casi – è necessario sviluppare atteggiamenti, senso di appartenenza, consapevolezza, come ben sanno le numerose associazioni che lavorano con categorie svantaggiate. Dall’altro, le organizzazioni culturali possono ospitare o promuovere iniziative per l’imprenditorialità femminile, sviluppare progetti di alternanza scuola lavoro, elaborare progetti di servizio civile universale. È un fatto che le organizzazioni culturali accolgano un numero molto elevato di volontari rispetto a personale remunerato. Occorre valutare come valorizzare quanto appreso in contesti di volontariato o di servizio civile in altri ambiti lavorativi. In generale, appare necessario uno sforzo ulteriore di collegamento a politiche già in essere, e una interlocuzione attiva da parte delle organizzazioni culturali a livello territoriale. La possibilità che questi progetti possano essere efficacemente progettati e realizzati dipende anche dall’efficacia, dal coordinamento e dall’efficienza delle organizzazioni comunali e dell’attitudine alla collaborazione fra assessorati diversi.
Cultura e cura
La missione 6 si concentra sulla revisione delle infrastrutture nazionali e territoriali relative alla salute; non sembra esserci spazio per iniziative a carattere culturale. Vale però la pena sottolineare i seguenti punti: l’attività culturale, soprattutto fra i lungodegenti e fra i pazienti pediatrici è rilevante e necessaria; la relazione fra cultura e salute è scientificamente documentata e sono attivi numerose collaborazioni fra associazioni ed enti di cura pubblici e privati; la salute è un diritto, ma i benefici sociali di comportamenti individuali consapevoli sono altissimi. Vi è poi una considerazione generale: il piano mette molta attenzione alla cura dei corpi delle persone e ai luoghi in cui questa cura può avvenire. Ma il Covid ha mostrato una crescita esponenziale del disagio psichico, soprattutto nelle generazioni cui è responsabilmente destinato. La cultura cura e non è uno slogan. E particolarmente ai giovani è bene che parli.
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